I domatori di onde
Provate a chiedere a un surfista di descrivere la "sua" onda ideale. Dirà che deve essere alta almeno un metro e mezzo, se si tratta di uno sportivo di media bravura, almeno tre-quattro metri se si è già fatto le ossa, otto-dieci metri se vive alle Hawaii e ha fatto del surf la missione della sua vita. Tutti, però, vorranno cavalloni regolari nella forma e nella frequenza, quella che in gergo si chiama "sequenza di onde monocromatiche". In determinate condizioni, onde così perfette possono anche formarsi in modo naturale. Ma non sono sempre alla portata di tutti i surfisti, perché geograficamente lontane. L'ideale sarebbe trovare sotto casa lo spot giusto, cioè un luogo adatto alla pratica sportiva, dove le onde siano "surfabili". Con questo termine intendiamo un'onda di altezza adatta che si forma a qualche centinaio di metri dalla costa, grazie a particolari condizioni di moto ondoso, vento, marea. E soprattutto in presenza di un basso fondale, come nel caso dei reef (barriere) corallini o artificiali. Da qualche tempo molti Paesi che hanno a disposizione chilometri di coste stanno infatti pensando di sfruttare le particolari condizioni climatiche, di moto ondoso e meteorologiche dei loro litorali per trasformarli in veri e propri paradisi per surfisti, costruendo barriere sottomarine per "alzare" onde adatte a essere "cavalcate". Ma per realizzare queste opere bisogna conoscere la meccanica del surf e le trasformazioni subite dalle onde nel loro moto di avvicinamento alla costa. Seduto sulla propria tavola, il surfista aspetta l'arrivo dell'onda o di un "treno di onde" (il set) in una zona esterna a quella dei frangenti, chiamata line up. Quando la vede arrivare, si sdraia sulla tavoletta, inizia a remare verso di essa con le braccia e, sfruttando la forza di gravità, cerca di raggiungere una velocità assoluta uguale a quella di avanzamento del cavallone. Se ci riesce si dice che il surfista "ha preso l'onda". Allora si alza in piedi sulla tavola e inizia a cavalcare i flutti. Subito dopo, comincia la fase di scivolamento, o discesa, sulla porzione non franta dell'onda, dalla cresta verso il cavo (la base), con una velocità assoluta maggiore rispetto a quella di propagazione dell'onda. La durata di questa prima discesa può variare da un secondo (per onde di circa un metro di altezza) fino a due-tre secondi per onde alte più di tre metri. Giunto alla base dell'onda, il surfista sposta il peso del corpo e gira la tavoletta, indirizzandola verso la cresta, per poi tornare a scendere. Questa operazione viene ripetuta più volte e si chiama roller coast (otto volante). Considerando le diverse fasi di avvicinamento all'onda - scivolamento, risalita e recupero dell'attrezzatura - chi vuole progettare un buono spot da surf deve considerare varie zone strategiche: oltre alla via di ingresso in mare, anche la zona del picco (il punto dove l'onda si alza) o zona di partenza (take off); la zona della corsa, cioè la porzione di mare occupata dai surfisti che planano sulle onde (riding zone); la zona di fine corsa e la zona di recupero della tavoletta. Infine la zona di ritorno, porzione di mare esterna all'area dei frangenti e della corsa, sfruttata dai surfisti per ritornare nella zona del picco In tutto il mondo il surf sta attraversando un momento di grande diffusione, tanto da comparire tra le discipline ammesse alle Olimpiadi di Sydney nel 2000. Anche nel nostro Paese il numero di persone che pratica questo sport sta crescendo e questo spiega l'interesse per questa disciplina da parte del Coni, che si prepara a riconoscere una federazione che raggruppa le principali associazioni di surfisti. Avrà il compito di seguire gli atleti più promettenti e formare la futura squadra olimpica. In Italia il surf fece la sua prima comparsa negli anni Settanta in Liguria, a Bogliasco, dove si formò una nutrita comunità di surfisti, ma ci furono presto problemi di sovraffollamento Il nucleo storico si spostò allora verso un'altra località, Varazze, dove fu individuata una secca naturale che alzava onde perfette per il surf, forse le migliori dei mari italiani. Oggi, insieme con altri spot in Toscana, Lazio e Sardegna, Varazze è nelle guide europee e mondiali del surf. Ma anche qui, come era già successo a Bogliasco, si è presentato il problema del sovraffollamento, e dunque la necessità di cercare nuovi spot. In alternativa alla secca naturale, c'è il progetto per la costruzione di una barriera artificiale sommersa in un'area di fronte al litorale. Un'opera studiata in collaborazione con il Comune di Varazze e oggetto della tesi di laurea in ingegneria di Lorenzo Pellegrini, l'unica in Italia su questo tema. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle conoscenze teoriche e tecnologiche messe a disposizione dal Dipartimento trasporti e strade del corso di laurea in Ingegneria Civile Idraulica della facoltà di Ingegneria dell'Università La Sapienza di Roma, e utilizzando modelli numerici di propagazione del moto ondoso messi a punto da Alberto Noli (docente di Ingegneria idraulica e relatore della tesi) e Paolo De Girolamo, ingegnere e ricercatore. "La zona dove si potrebbe realizzare il mio progetto è sulla riviera ligure al confine tra le provincie di Genova e Savona", spiega Lorenzo Pellegrini, "Interessa il territorio comunale di Varazze per un tratto di tre chilometri, delimitato a est da Porta della Mola e a ovest dalla diga di sopraflutto del porticciolo turistico di Varazze". Prima di realizzare il progetto sono state fatte ricerche storiche sull'evoluzione costiera e rilevamenti sulle caratteristiche e la profondità dei fondali, per capire perché proprio in quel posto le onde si formano in una certa maniera. Secondo Paolo De Girolamo, correlatore della tesi, "è stata scelta la località di Varazze per la sua ottima esposizione al moto ondoso e perché lì c'è un fetch, una zona di generazione delle onde, piuttosto lungo. Applicando i nostri modelli numerici, sono state ricostruite le caratteristiche del moto ondoso del luogo ed è stata studiata la propagazione delle onde dal largo verso i bassi fondali". Dopodiché, sapendo come si formano le migliori onde da surf, è stato progettato il fondale artificiale. "Per decidere quanto doveva essere grande la barriera", spiega ancora Pellegrini, "è stato necessario analizzare sia le condizioni medie annuali di moto ondoso del Mar Ligure, sia eventuali episodi estremi. Con queste informazioni, è stato possibile progettare la barriera in funzione delle caratteristiche desiderate per l'onda frangente". Sapendo che il tipo di onda prodotta e la sua altezza dipendono dalla linea del fondale e dalla pendenza data alla barriera, si potranno ottenere frangenti su misura: "a deflusso" (spilling), "a cascata" (plunging), "a collasso" (collapsing) e "a flusso montante" (surging). Il frangente più desiderato dai surfisti è del tipo a cascata: quello che forma il "tubo", un'onda che dissipa la propria energia su una distanza molto breve e in modo molto violento. Onde così, però, possono essere pericolose per i surfisti meno esperti. Per questo si è ritenuto opportuno progettare una barriera con caratteristiche tali da formare onde che presentino un frangente intermedio tra quello a cascata e quello a defluimento. In questo modo il frangente si svilupperà in maniera più ampia e sarà accessibile senza rischi anche ai meno esperti. Sui litorali italiani sono state individuate altre zone adatte alla costruzione di reef artificiali. Una di queste è davanti al litorale di Civitavecchia: su richiesta del Comune, il Dipartimento di trasporti e strade del corso di laurea in Ingengeria civile idraulica dell'Università La Sapienza di Roma dovrebbe seguire il progetto di una barriera sommersa. L'esigenza di costruire spot artificiali è sentita anche in luoghi come l'Australia, dove - a dispetto delle mareggiate oceaniche - non sempre si creano le condizioni ideali per fare il surf. Capita così che i luoghi adatti siano troppo affollati. Si calcola che gli appassionati di surf nell'Australia occidentale siano circa 185 mila, tutti concentrati su poche spiagge. Di conseguenza si creano conflitti tra surfisti, pescatori e chi vuole semplicemente nuotare. Senza considerare gli incidenti provocati dal sovraffollamento. I ricercatori australiani e neozelandesi sono stati i primi a progettare barriere artificiali sommerse al largo delle loro coste, per provocare la formazione di "onde surfabili". Secondo Charitha Pattiaratchi, ricercatore del dipartimento di Ingegneria ambientale della University of Western Australia, la progettazione di una buona barriera artificiale deve essere fatta in modo da produrre frangenti sia a destra sia a sinistra. La forma ideale è a punta di freccia, con l'apice rivolto verso il largo e l'angolo di 45 gradi, considerando che 30 gradi vanno bene per i principianti e 60 gradi per i professionisti. Questa struttura sommersa dovrebbe alzare onde tra il mezzo metro e i tre metri e mezzo.Anche al Niwa (National Institute of Water and Atmospheric Research) di Hamilton, in Nuova Zelanda, sono in corso simili progetti. Sulla base di dati statistici raccolti su 27 spiagge leader per il surf (in Australia, Nuova Zelanda, California, Brasile, Hawaii e Indonesia), i ricercatori sono arrivati alla conclusione che una buona barriera artificiale sottomarina, capace di "alzare" onde con frangenti adatti al surf, deve avere una pendenza di 1:5 (significa che per scendere di un metro è necessario andare avanti per cinque metri). Pendenza molto più elevata di quelle già sperimentate, come 1:20 e 1:40, ritenute ottimali dalla maggioranza degli esperti. In virtù di queste nuove osservazioni, in Nuova Zelanda si sta progettando una barriera artificiale da realizzare a Narrowneck, sulla costa meridionale di Queensland: un reef artificiale fatto di migliaia di sacchi di sabbia adagiati pochi metri sotto la superficie marina. I lavori dovrebbero concludersi entro la fine del 1999.
 
Tratto da "Newton" Foto: evoluzioni a cavallo delle onde http://futures.wharton.upenn.edu/
Visita il sito: www.newton.rcs.it

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