Sempre più in profondità, fino a 3000 metri, rimanendo in apnea per oltre un'ora. Il record dei mammiferi è raggiunto, ma lo scopo non era vincere la medaglia d'oro. L'"atleta" è un capodoglio e la sua è un'immersione di routine, a caccia del cibo preferito, che si trova esclusivamente negli abissi: il calamaro gigante. La ricerca del pasto spinge anche altri animali a lunghe immersioni da record, come la foca di Weddell, che arriva fino a 600 metri di profondità e resta in apnea anche per 70 minuti, o l'elefante marino che raggiunge i 1500 metri trattenendo il fiato per 20 minuti. E anche insospettabili animali senza pinne detengono primati in questa disciplina. L'ippopotamo, per esempio, resiste in immersione 15 minuti. Ma il vero campione di apnea è un rettile: il coccodrillo marino, che può rimanere senza respirare per due ore, pazientemente nascosto in attesa della preda più gustosa. Questo animale, come hanno rivelato recenti ricerche, deve la sua capacità a un cuore veramente speciale, dotato di una valvola con "dentelli" che si trova fra il ventricolo destro e l'arteria che porta il sangue ai polmoni. Quando il coccodrillo è immerso, la valvola fa in modo che il sangue non vada a riossiggenarsi nei polmoni ma fluisca nel resto del corpo. Il notevole risparmio di ossigeno così ottenuto permette al feroce rettile le lunghe apnee. Ma se la capacità del coccodrillo di rimanere "semplicemente" immobile senza respirare può non stupire, quella del capodoglio può apparire una "missione impossibile" per un animale di 20 metri e di 100 tonnellate, che non solo trattiene il respiro per anche 90 minuti, ma raggiunge profondità incredibili e svolge tutte le sue attività in apnea. Quando questo mammifero scende negli abissi, la pressione aumenta, la sua gabbia toracica e i suoi polmoni collassano. A circa 100 metri i polmoni sono ridotti a piccole cavità in cui gli scambi sono decisamente limitati. Infatti, contrariamente a ciò che si crede, i polmoni non sono il vero motore delle grandi immersioni. Il peso dei polmoni di un uomo è mediamente il sette per cento del suo peso complessivo, mentre quelli di una balena arrivano a malapena al tre per cento del suo peso totale. Decisamente più piccoli, ma incredibilmente più efficienti. Con un'ispirazione noi inaliamo circa un litro d'aria, riempiendo i nostri polmoni per un quarto, mentre i Cetacei li riempiono fino al limite durante ogni atto respiratorio. Inoltre durante le immersioni, l'ossigeno non viene mantenuto nei polmoni (dove, come detto, causerebbe più danni che altro), ma viene concentrato nel sangue, legato all'emoglobina, e nei muscoli, legato alla mioglobina. Le concentrazioni di queste due proteine, grandi riserve di ossigeno, nei Cetacei sono otto volte superiori a quelle dei mammiferi terrestri. Anche il cuore si dà da fare per risparmiare ossigeno: durante l'immersione, partendo da 120 battiti al minuto, arriva a battere per sole sei volte in un minuto. I Cetacei, inoltre, hanno sviluppato un nuoto poco dispendioso durante le immersioni: dopo un paio di poderosi e sicuramente faticosi colpi di pinne, scendono planando, senza dover più muovere un muscolo.
Questa stessa tattica è usata da un altro animale per le sue imprese, sempre "estreme" ma fuori dall'acqua. È il grifone di Ruppell, un avvoltoio che usa le planate per librarsi sempre più in alto, raggiungendo, in casi eccezionali, gli 11.000 metri di altitudine. A tali quote l'ossigeno è un bene prezioso, data la rarefazione dell'aria, e ogni movimento costa all'animale molto caro, in termini metabolici. Inoltre il grifone è tutto fuorché piccolo: riuscire a portare in alto un corpo dal peso di circa nove chili non è facile, ma il grifone sa come fare. Come un abile veleggiatore conosce tutte le correnti ascensionali che gli permettono di risparmiare anche il minimo sforzo. Così decolla, batte le ali fino a quando non incontra una corrente favorevole che, senza più fatiche, lo porta sempre più su, fino a fargli raggiungere delle altezze vertiginose. Con la stessa tecnica anche i cigni selvatici, ben più pesanti (fino a 16 chilogrammi) riescono a raggiungere altezze rispettabili, anche se inferiori a quelle del grifone di Ruppell. Tramite il volo veleggiato, sfruttando le correnti ascensionali, costanti in varie parti del mondo, vi scivolano sopra dolcemente. Ma le sfide non finiscono qui. Grandi, grossi e caldi. Se la profondità e l'altezza rappresentano degli ostacoli per la vita, i problemi creati dalla temperatura non sono da meno. Ma alcune specie sono riuscite ad adattarsi a situazioni climatiche assolutamente proibitive per noi umani. Il bue muschiato, il tricheco, le balene o l'orso bianco sono alcuni degli animali che vivono in zone dove le temperature sono sempre rigidissime e il gelo caratterizza la maggior parte dell'anno. L'espediente principale per combattere il freddo, conservando al meglio il calore prodotto all'interno del corpo, è quello di aumentare le dimensioni fisiche. Un animale grande, massiccio, con una "forma" il più possibile vicina a quella di una sfera avrà la minor superficie corporea possibile esposta allo scambio termico. Questa non è una contraddizione, in proporzione ha più superficie corporea un topo che un orso bianco: infatti all'aumentare delle dimensioni di un animale, la massa corporea cresce al cubo, mentre la superficie al quadrato. Oltre a ciò gli animali che vivono in ambienti freddi "indossano" anche uno spesso strato di grasso. Alcuni, come l'orso polare, sono anche ricoperti da una folta e calda pelliccia. Nel grosso mammifero artico questa appare bianca, ideale per mimetizzarsi durante i suoi agguati, ma pessima per attirare il calore. Non è un errore della natura: a guardare bene, la pelliccia dell'orso bianco è proprio nera. Osservati con strumenti che percepiscono la luce ultravioletta (invisibile all'occhio umano) i suoi peli appaiono infatti neri e possono assorbire i raggi ultravioletti trasformandoli poi in calore. Illusioni ottiche per soddisfare tutte le necessità. Se, tutto sommato, non ci stupisce pensare a trichechi, orsi e balene alle prese con il gelo, sicuramente più singolare è la situazione del macaco del Giappone.
Nelle aree settentrionali, dove questa scimmia vive, i venti siberiani portano temperature che rimangono per tutto l'inverno costantemente sotto lo zero. Per sopportare tali condizioni, i macachi innanzitutto variano la loro alimentazione a seconda di quel che offre il luogo e la stagione. Durante il periodo estivo si nutrono di insetti, germogli e frutta, in inverno si accontentano di cortecce, aghi di pino e licheni, facendo affidamento sulle riserve di grasso accumulate nel periodo estivo. E per cercare un po' di calore sono disposte ad affrontare l'acqua dalla quale le scimmie, in genere, si tengono alla larga. Infatti, in queste zone sono presenti delle sorgenti termali e i macachi hanno imparato a godere dei piaceri dei bagni caldi: per ore rimangono immersi nelle acque fumanti lasciando fuori solo il muso, "incorniciato" dai peli ghiacciati. Cara, fresca, scarsa acqua. Ma se il freddo è un nemico pericoloso, altrettanto temibile è il caldo. Uno dei meccanismi fisiologici usati dalla maggior parte dei mammiferi, uomo compreso, per diminuire la temperatura corporea è quello dell'evaporazione, ossia del sudore. Durante tale processo le molecole d'acqua che passano alla fase gassosa sottraggono al corpo energia termica abbassandone la temperatura. Ma spesso dove c'è tanto caldo c'è anche poca acqua e a questo punto sorge la prima grande difficoltà: è meglio consumare l'acqua corporea con un'evaporazione "rinfrescante" o risparmiarla per non rischiare la disidratazione? Dubbi amletici che, anche in questo caso, hanno portato all'evoluzione di strategie di sopravvivenza uniche. Il cammello, che è il simbolo dell'adattamento ai climi aridi, nei periodi in cui l'acqua è un bene prezioso evita gravi perdite idriche semplicemente non sudando. Durante il giorno lascia la propria temperatura salire velocemente fino a 40 °C e durante la notte, grazie al fitto mantello che impedisce la dissipazione del calore, la fa scendere più lentamente. Inoltre ha imparato anche a esporre al Sole, durante le ore del giorno, la minor superficie corporea possibile, ponendo l'asse del suo corpo parallelo ai raggi solari. E quando finalmente giunge la pioggia, o trova un'oasi, la sua re-idratazione rappresenta un record di velocità: riesce a bere fino a 80 litri in 10 minuti. Il problema di un caldo eccessivo e dell'assenza di acqua è affrontato diversamente, ma sempre in maniera egregia, dal ratto canguro, abitante dei deserti del Nord America. Questo piccolo mammifero vive di notte, mentre di giorno rimane nascosto nella sua tana che, per tentare di tenere fuori il calore, chiude con escrementi e avanzi di cibo. Non suda per non sprecare l'acqua che ottiene esclusivamente dall'ossidazione delle sostanze alimentari, costituite da piccoli semi secchi. Inoltre, per l'alta efficienza dei suoi reni, l'urina che produce ha una concentrazione cinque volte superiore a quella umana. Anche il naso viene utilizzato per accumulare acqua: l'umidità dell'aria respirata si condensa passando per le narici. Altra tattica per adattarsi alle alte temperature è quella della lucertola Uma. Questo piccolo rettile ha sviluppato una disciplina molto particolare: "nuota" nella sabbia, dove la temperatura è più fresca, e qui passa gran parte del suo tempo. Ma è capace anche di rapide corse da una duna all'altra, in "punta di zampe", cercando di rendere minimo il contatto con la sabbia rovente. Poi improvvisamente si ferma per risprofondare nella sabbia in cerca di refrigerio. Troppo sale nella dieta. Un altro ambiente in cui gli animali rischiano la disidratazione è il mare. Può sembrare un paradosso, ma non è così. Per diluire il sale contenuto in un litro di acqua marina, i reni umani hanno bisogno di un litro e mezzo di acqua potabile, più di quella ingerita. Lo scarto viene prelevato dal nostro organismo: così la sensazione di sete non solo non si placa ma aumenta. Quale espediente allora permette la sopravvivenza agli uccelli (come i gabbiani), o ai rettili (come l'iguana delle Galápagos), che vivono in zone dove l'unica acqua disponibile è quella del mare e che si nutrono solo di pesci e alghe? In loro soccorso si è evoluta una ghiandola che, senza rubare acqua all'organismo, è capace di eliminare il sale in eccesso. Posta generalmente vicino al naso nell'iguana e all'orbita dell'occhio per quanto riguarda gli uccelli, la ghiandola espelle una specie di salamoia, purificando l'acqua marina che diviene così utilizzabile dall'organismo. In questo caso è bastato poco per "domare" un ambiente difficile, ma abbiamo visto che per alcune specie vivere in condizioni estreme richiede fatica e "spirito di adattamento". In cambio però c'è un premio di gran valore: questi animali avranno a disposizione un ambiente con pochi predatori e poche specie con cui dover competere. Insomma un territorio dove dominare incontrastati. |