Immaginatevi un mondo a sé, con le sue regole, i suoi ritmi. Dove la giornata dura 18 ore: sei per dormire, sei per lavorare, sei di libertà (che spesso si traduce con "di guardia"). Dove si vive con altri centocinquanta uomini in un cilindro d'acciaio, largo solo una decina di metri, e si condivide tutto, dimenticando il significato della parola "privacy". Un mondo tutto maschile, dove il dialogo è sostituito da secchi comandi, e "d'accordo" diventa "signorsì, signore". Dove la luce del Sole non arriva mai e non ci sono finestre, perché non c'è un panorama da ammirare. Un mondo dove oltre il sommesso brusio dell'aria condizionata non ci sono rumori. Un microcosmo che scivola silenziosamente per gli oceani del Pianeta trasportando armamenti in grado di annientare un intero continente. O di proteggerlo. Questo mondo ha un nome, sottomarino, e una popolazione, il suo equipaggio. Acciaio, cavi e uomini Un sottomarino nucleare è una delle macchine tecnologicamente più complesse che siano mai state costruite. Una combinazione di metallurgia avanzata e ingegneria navale, di informatica e strumenti per la navigazione di precisione, di tecnologie per la rigenerazione dell'aria e sensibilissimi apparati sonar, di sistemi per la riduzione del rumore e la padronanza dell'energia nucleare. Il tutto realizzato per funzionare in un ambiente ostile come quello subacqueo. Ma un sottomarino fatto solo di acciaio e cavi sarebbe un guscio vuoto, se non ci fossero gli uomini che ci lavorano: in media 140-150 marinai scelti tra i migliori. I più preparati, i più disciplinati, i più abili nel lavoro di squadra: solo loro sopportano queste condizioni estreme di vita. Ma non hanno loro la precedenza: se l' acqua è poca, per esempio, va destinata prima al raffreddamento del reattore e poi all'equipaggio. Fino alla seconda guerra mondiale a fianco dei sottomarini venivano utilizzati anche i sommergibili. Scafi progettati per navigare in superficie e che, all'occorrenza, si possono immergere. Un sottomarino invece è costruito per navigare solo in immersione. La differenza è evidente già nella forma: il sommergibile ha uno scafo stretto e una prua simile a quella di una nave, un sottomarino invece ha una tozza prua a bulbo e uno scafo a goccia. Per scendere in profondità o salire in superficie, tutti i sottomarini adottano lo stesso principio. Al momento di immergersi, nelle cosiddette "casse di zavorra" vengono aperte delle valvole superiori da cui esce l'aria e delle valvole inferiori dalle quali entra l'acqua. Più acqua si fa entrare, maggiore è il peso del sottomarino e la profondità che si raggiunge. Per risalire si adotta il principio inverso: si immette nelle casse aria ad alta pressione e si fa defluire l'acqua dalle valvole inferiori. Bilanciando la quantità di aria e di acqua, si mantiene la quota desiderata. Il sottomarino può comunque salire o scendere, sfruttando l'effetto idrodinamico del movimento sui timoni di profondità posti a poppa, a prua e sulla torretta.
Per quanto riguarda la propulsione, vi sono grosse differenze tra i sottomarini convenzionali e quelli nucleari. I primi hanno un duplice sistema: in immersione utilizzano motori elettrici che non richiedono aria per funzionare (ma necessitano di enormi batterie di accumulatori); in emersione, sono spinti da motori diesel, che ricaricano anche gli accumulatori. I sottomarini nucleari hanno invece un solo sistema propulsivo: un reattore alimentato da uranio 235 del tutto analogo, anche se di dimensioni ridotte, a quelli delle centrali nucleari. Mentre i sommergibili diesel-elettrici hanno bisogno di frequenti rifornimenti di carburante, l'autonomia di un sottomarino nucleare dell'ultima generazione è praticamente illimitata: per i più moderni si stima che il combustibile duri per tutta la vita del battello, circa 33 anni. Anche per quanto riguarda la velocità sono stati fatti grandi miglioramenti. Un U-Boote tedesco dell'ultima guerra raggiungeva 15-17 nodi (30 km orari) in superficie e un massimo di 6-8 in immersione. Oggi, con i sottomarini moderni, la situazione è capovolta: le unità nucleari fanno ancora 15-17 nodi in superficie, ma 24-27 nodi (quasi 50 km orari) sott'acqua. I sottomarini nucleari possono restare in immersione anche per tre mesi. L'aria e l'acqua vengono prodotte a bordo. L'ossigeno viene ricavato sottoponendo l'acqua di mare a elettrolisi (cioè scomponendola in idrogeno e ossigeno). L'idrogeno e i sali vengono ripompati in mare, mentre l'ossigeno è immesso nel sistema di ventilazione. L'anidride carbonica prodotta dalla respirazione dell'equipaggio, invece, viene assorbita da prodotti chimici. L'acqua potabile si ottiene sottoponendo a dissalazione quella di mare. Anche le scorte di cibo devono durare tre mesi. I responsabili dell'approvigionamento "fanno la spesa" prima di ogni missione prevedendo quattro pasti al giorno per 120 persone per 90 giorni. Le provviste sono stivate in magazzini, celle frigorifere e congelatori. Se la missione è particolarmente lunga si possono trovare scatolette ovunque, ogni spazio libero può diventare parte della dispensa, anche per terra, nei lunghi corridoi. Uova, frutta e verdure fresche non possono durare per più di alcune settimane, dopo si ricorre ai surgelati. Il menú, uguale per ufficiali e "ciurma", prevede uova, toast, caffè e cereali a colazione; panini, hamburger e pizza per il pranzo; pasta, bistecca o carne di maiale per cena; avanzi del giorno per lo spuntino notturno. La qualità del cibo è indispensabile per mantenere alto il morale dell'equipaggio, costretto a una vita estremamente difficile e senza neppure il conforto di un po' d'alcol, tassativamente vietato. Capita spesso che il cuoco prepari anche spuntini da mangiare dopo i lavori più faticosi, per ritemprare il fisico e lo spirito. In cucina, inoltre, devono essere impeccabili l'igiene dei cuochi (obbligati ad avere sempre le unghie cortissime) e dei locali e il controllo della qualità del cibo: l'infezione di un solo marinaio infatti si trasformerebbe in un'epidemia per tutto l'equipaggio. Gli ambienti strettissimi e la convivenza forzata creano una situazione di alto stress psicologico. Provate a passare da una porta dove sulla soglia c'è un'altra persona. Siete costretti a chiedere permesso o a strisciare col vostro corpo su quello dell'altro. Pensate ora di dover fare la stessa cosa tutte le volte che vi muovete, per tre mesi di fila. Questo accade nei corridoi di un sommergibile. Col tempo e l'abitudine il disagio si abbassa, la vicinanza diventa normale, ma comunque lo spazio resta minimo e il pericolo di "pestarsi i piedi" non diminuisce.
Per sopravvivere in un ambiente del genere, bisogna essere costantemente impegnati, avere sempre uno scopo da raggiungere, che fa passare in secondo piano i motivi di fastidio. Per questo il sommergibilista ha sempre qualcosa da fare, e quando è veramente libero, sfrutta le poche ore a sua disposizione per riposare. La convivenza forzata ha però anche il suo lato positivo: dopo mesi, se non anni, di strettissima collaborazione si creano team di lavoro in grado di interagire come fossero un unico essere, aumentando la velocità e la precisione con cui vengono eseguiti gli ordini e con cui si reagisce agli imprevisti. Continue esercitazioni e gare tra i membri dell'equipaggio, o tra equipaggi di sottomarini diversi, sviluppano nei marinai la capacità di agire pensando per obiettivi, avendo sempre uno scopo da raggiungere, migliorandosi sempre. L'efficienza di un equipaggio è allenata sfruttando la competitività dei marinai. Ovviamente non mancano le tradizioni e i riti di una comunità che vive isolata dal mondo per mesi. Tra le più famose, e raccontabili, c'è quella di far bere un grosso bicchiere di acqua di mare a chi raggiunge per la prima volta la "grande P" cioè la profondità massima. Particolarmente atteso da tutti è il momento in cui arrivano i "family grammy", brevi messaggi di 25 parole che riportano le buone notizie delle famiglie. Quelle brutte sono censurate e rivelate solo in porto. Sono previste anche attività di svago. A bordo si può trovare una videoteca con centinaia di film (rinnovati a ogni viaggio), alcuni giochi da tavolo e piccole palestre attrezzate. Sui sommergibili più grandi c'è anche chi fa jogging intorno ai tubi di lancio dei missili. I quartieri destinati al riposo vengono chiamati "aree di ormeggio" e mettono a disposizione di ogni marinaio uno spazio di 1,4 metri quadrati, una sorta di cuccetta-loculo alta meno di 60 centimetri. Una luce per leggere, una bocchetta per l'aria, una presa per ascoltare la musica con una cuffia e una tendina per una relativa, ma benvenuta, privacy, costituiscono la dotazione di comfort. Le ore di riposo sono poche, quindi vengono rispettate da tutti: la tendina della branda chiusa è un "limite invalicabile". Durante le missioni, quando le parole "giorno" e "notte" non hanno più senso, in questa zona le luci sono sempre molto attenuate in quanto, a causa dei tre turni sulle 18 ore, c'è sempre un terzo dell'equipaggio "in branda". Solo il comandante dell'unità e gli ufficiali esecutivi dispongono di cabine private (le "camere di lusso") in cui lavorano e dormono. Ma quando la porta è aperta, chiunque può entrare per parlare con l'ufficiale. Spesso, durante missioni particolari, il numero delle persone imbarcate eccede quello dei posti letto disponibili a bordo; in tali occasioni, cuccette di fortuna vengono installate un po' dove capita, soprattutto nelle rastrelliere normalmente destinate ai siluri o ai missili. Quando l'unità è in porto, la divisa regolamentare è di rigore, in missione invece tutto l'equipaggio, ufficiali compresi, veste in modo molto pratico e informale: una tuta e scarpe che non provocano il minimo rumore.Claustrofobici? No, grazie Il mal di mare è un problema che non esiste su un sottomarino, e non perché i marinai non ne soffrano. Ma perché un sottomarino non è quasi mai coinvolto dalle onde della superficie marina, anche se questa è in tempesta. Solo nei casi estremi di violenti uragani, il movimento delle onde può essere avvertito dal sottomarino fino a una profondità massima di un centinaio di metri. La claustrofobia a bordo invece non si trova. Nonostante gli spazi ristretti e la mancanza di "finestre",l'equipaggio non ne soffre. Se chiedete il perche' a un sommergibilista, la risposta e' sempre la stessa: "chi potrebbe soffire di claustrofobia, semplicemente non viene ammesso a fare questo lavoro". |