Esistono onde assassine che strisciano silenziose nei fondali oceanici, per poi manifestare tutta la loro potenza distruttiva soltanto sulla terraferma. I muri d'acqua si alzano e si sbriciolano in pochi secondi, inondando verso l'interno chilometri di costa e inghiottendo interi villaggi, travolgendo le persone come se fossero sassolini che rotolano su una spiaggia. Lo scenario è da film catastrofico ma purtroppo qui non c'è alcun effetto speciale: è la terribile natura dello Tsunami, la tanto temuta "onda anomala". Che forse si sta preparando per invadere una parte della costa Est degli Stati Uniti. L'allarme è stato lanciato dal geologo ricercatore Neal Driscoll del Woods Hole Oceanographic Institute e John Goff della University of Texas di Austin: gli scienziati hanno scoperto alcune fratture a forma di "N" lunghe circa 40 chilometri. Queste venature del fondale oceanico potrebbero degenerare in frane, scatenando una serie di onde Tsunami, cioè un maremoto con onde che raggiungerebbero anche i 15 metri di altezza. Le coste della Virginia e della Carolina del Nord sono le zone maggiormente a rischio. Driscoll ha scoperto le fratture grazie ai dati batimetrici (cioè relativi alla profondità dell'oceano in vari punti) raccolti dal Noaa, l'Ente nazionale americano per l'atmosfera e gli oceani. Mentre leggete queste righe, la squadra degli autori della scoperta si trova in quelle zone e si sta impegnando a scoprire l'età di queste fratture. Se queste fossero recenti, infatti, il rischio che possa scatenarsi da un momento all'altro uno Tsunami è molto alto, se invece fossero relativamente vecchie (intorno ai 16-18mila anni), il rischio scenderebbe. "Il cedimento del pendio potrebbe, per esempio, verificarsi in seguito a uno sgorgare improvviso di acqua sotterranea" spiega Driscoll, che aggiunge, "abbiamo bisogno di altri dati, altre misure del fondale oceanico per identificare quali zone sono più a rischio di altre". Tsunami è una parola giapponese che significa "onda del porto". L'onda, infatti, viaggia quasi in incognito nell'oceano per poi esplodere in tutta la sua potenza distruttiva soltanto in prossimità della costa. A differenza delle "classiche" onde, che vengono generate dal vento per increspatura della superficie del mare, gli Tsunami sono onde generate dall'energia sismica sprigionata da un terremoto, che nasce dalla frattura del fondale oceanico o, meno frequentemente, dall'impatto di un meteorite o da un'eruzione violenta di un vulcano. Come quella del Krakatoa, per esempio, avvenuta nel 1883: generò onde alte quanto un palazzo di 12 piani che, rompendosi sulla terraferma con una potenza incredibile, uccisero quasi 30mila persone. La velocità di propagazione di un'onda Tsunami può superare anche i 700 chilometri orari, una prestazione che la rende una degna avversaria in una gara con un Boeing 747. Sembra assurdo, ma nonostante questa velocità, le onde non sono pericolose quando si spostano nelle profondità oceaniche, dove si possono estendere anche per più di 750 chilometri. Un'imbarcazione che dovesse trovarsi a galleggiare su uno Tsunami appena "nato", che viaggia quindi ancora in profondità, non si accorgerebbe della sua presenza. In quella fase, infatti, l'altezza dell'onda è estremamente piccola rispetto alla distanza fra due "creste" successive e alla profondità alla quale si trova.
Finché l'onda anomala si trova in queste condizioni, si comporta come un perfetto modello da laboratorio. In questo modo gli scienziati ne possono facilmente prevedere l'evoluzione con semplici strumenti matematici. Per esempio, è stato stabilito che, a grandi profondità, più lungo è lo Tsunami, maggiore sarà la sua velocità di propagazione. Quando gli Tsunami cominciano ad avvicinarsi alla terraferma e quindi si spostano in acque meno profonde, le irregolarità del fondale possono cambiare la loro direzione, proprio come un'onda sonora viene deviata da un'ostacolo. Giunte in prossimità della terraferma, le onde Tsunami tendono ad "avvilupparsi" attorno a un'eventuale sporgenza, come un promontorio o un molo. Il fenomeno può aumentare la potenza devastante dell'onda perché lo Tsunami viene "spezzettato" in onde più basse. Queste possono riflettersi all'indietro, andando così a ingrossare l'onda successiva, che si abbatterà quindi sulla terraferma con violenza ancora maggiore. Inoltre ogni onda in avvicinamento tende a rallentare, a causa della diminuzione della profondità dell'acqua. In questo modo le onde finiscono per sovrapporsi, un po' come se "inciampassero" una sull'altra a causa del fondale troppo basso. Questo accumulo corrisponde a un'energia tutta concentrata in un piccolo volume d'acqua, con effetti devastanti. Prevedere gli Tsunami e organizzare un piano di prevenzione, non è affatto semplice. Lo sanno bene Giappone e Stati Uniti, i paesi che per la loro posizione geografica risultano costantemente a rischio e che per questo dispongono delle tecnologie più avanzate in fatto di previsione. I giapponesi, per esempio, hanno investito molto nell'educazione delle popolazioni in caso di emergenza Tsunami, realizzando stazioni di osservazione e costruendo barriere lungo la costa. Più di un quarto di tutti gli Tsunami scatenatisi dal 1895 nell'Oceano Pacifico, infatti, si sono originati vicino al Giappone. Questo paese è situato in prossimità dei confini di quattro zolle tettoniche che spingono una verso l'altra, provocando i continui terremoti che colpiscono la nazione. Proprio dalle scosse più violente che "spaccano" il fondale, si originano gli Tsunami. Negli Stati Uniti la situazione non è migliore. Se un terremoto, per esempio, colpisse le coste dell'Alaska, un eventuale Tsunami potrebbe colpire non solo le coste locali ma, propagarsi in mare aperto, percorrere migliaia di chilometri, abbattendosi sull'arcipelago delle Hawaii. Dal 1819, infatti, queste isole sono state colpite più di 40 volte dalle onde assassine. Ora, però, la tecnologia offre un'arma in più per difendersi. Giapponesi e americani stanno affidando la sicurezza delle coste a sensori di pressione, apparecchiature collocate sul fondale che misurano le variazioni di pressione dello strato d'acqua sovrastante dovute al passaggio degli Tsunami.
Hugh Milburn e Eddie Bernard hanno perfezionato negli ultimi anni al Pacific Marine Environmental Laboratory questo sistema di rilevamento, simile a quello progettato da alcuni geologi giapponesi dell'Università di Yokohama. Lo strumento è talmente sensibile da rilevare sia uno Tsunami "neonato", alto poco più di un centimetro, sia uno a 6000 metri di profondità. Le onde dovute al passaggio di navi o causate dal vento non sono registrate perché la loro lunghezza è breve e le variazioni di pressione non si trasmettono fino sul fondo oceanico. "I sensori", spiega Milburn, "trasmettono i dati sotto forma di impulsi acustici a una boa di superficie, che a sua volta li manda via satellite alle stazioni di osservazione. Insomma, questa volta sembra che gli scienziati possano captare in anticipo le tracce delle onde assassine." |