Decise che era arrivato il momento di andarsene e spezzò anche l'ultimo vincolo che lo incatenava alla terra. Il distacco non fu semplice, ci vollero molti mesi di preparazione. Ma alla fine l'iceberg B-10 si separò dal ghiacciaio Thwaites che lo aveva generato lungo la costa orientale dell'Antartide e incominciò il suo viaggio nei mari del Sud. Per andare dove? Per seguire i suoi "fratelli", migliaia di giganti dal cuore ghiacciato e del peso medio di un milione e mezzo di tonnellate, che ogni anno si staccano dalle coste del continente più inospitale sulla Terra (succede al polo Sud, ma anche al polo Nord) e incominciano a navigare solitari, in fila indiana o in sciami, verso le acque calde del settentrione. Qui, dopo quattro o cinque anni, l'aumento di temperatura ne provocherà lo scioglimento completo, restituendo al ciclo dell'acqua ciò che per 3000 anni è stato imprigionato in una massa solida. Dopo essersi staccato dalla costa antartica più di dieci anni fa, anche l'iceberg (la montagna di ghiaccio) chiamato B-10 ha girovagato senza meta intorno al polo Sud fino al 1995, quando, per effetto dell'azione combinata di correnti marine, onde e venti, si è spaccato in due tronconi: il piccolo B-10B, ormai dissoltosi in minuti frammenti; e il B-10A, lungo 77 chilometri e largo 38, grande quasi come la Valle d'Aosta. Si sta dirigendo verso le coste del Sud America a una velocità di 12-14 chilometri al giorno, avvicinandosi pericolosamente alle rotte navali. Eventi come il distacco dell'iceberg B-10 non sono eccezionali: ogni anno le coste antartiche si frammentano per le variazioni climatiche stagionali o per l'azione delle correnti e liberano dai 20.000 ai 30.000 blocchi di ghiaccio di ogni forma e dimensione. Il processo con cui si formano gli iceberg è lo stesso, ai due poli: si tratta di una metamorfosi molto lenta che avviene sulla terraferma, dove nel giro di qualche mese la neve soffice caduta sul terreno si trasforma in uno strato granulare, povero d'aria e più compatto. Trascorrono parecchi anni prima che esso si indurisca per la pressione degli strati superiori, diventando un ghiacciaio vero e proprio, una lingua di ghiaccio che scende al mare alla velocità di 2-5 metri al giorno, spinto dalla sua stessa massa.
"Poiché gli strati profondi si muovono più lentamente di quelli superficiali a causa dell'attrito", spiega Selina Nauman, del National Ice Center (Nic) americano di Suitland nel Maryland, un organismo coinvolto nel monitoraggio del ghiaccio vagante, "il flusso ghiacciato di superficie arriva prima al mare, dove forma enormi propaggini galleggianti ancora unite alla terra che prima o poi si staccano. Si tratta del "calving" (distacco), un fenomeno che può durare anche decenni e genera sia enormi blocchi sia frammenti di dimensioni trascurabili, ma taglienti come una lama: noi li chiamiamo "growler" (brontoloni)". Ad aver sorpreso gli scienziati non sono state, quindi, le dimensioni del B-10A, bensì la rotta che sta seguendo: "È eccezionale che questo iceberg sia riuscito a coprire una distanza così grande senza disgregarsi", osserva Selina Nauman. "Arrivato alla latitudine di oltre 58 gradi Sud, nei pressi del canale di Drake che separa l'Antartide dal Cile, il suo destino sarà segnato. L'aumento di temperatura lo ridurrà in piccoli pezzi, pericolosi per la navigazione perché non rilevati dai radar". Se un iceberg supera la lunghezza di 15-16 chilometri, infatti, viene schedato dal Nic, che gli attribuisce una lettera, A, B, C, o D, corrispondente al quadrante antartico in cui è stato avvistato, e un numero progressivo sulla base degli iceberg già registrati in quella zona. I blocchi più piccoli come i growler, tuttavia, sfuggono alla sensibilità dei sistemi di telerilevamento, che pure è elevata, dato che permette di localizzare superfici anche di soli 60 metri quadrati (quella di un miniappartamento). A causa del rischio elevato, dunque, il Nic, in collaborazione con la Marina militare, la Guardia costiera degli Stati Uniti, l'ente americano per l'atmosfera e gli oceani (Noaa), ha preferito delimitare, per 264 chilometri intorno al B-10A, una zona "off limits" alla quale è consigliabile non avvicinarsi. Silhouette tentatrici Tutti conoscono la storia del Titanic, affondato nell'aprile del 1912 durante il viaggio inaugurale dall'Europa all'America, in un tratto di mare dove l'incontro fra la corrente calda del Golfo (che nasce in Messico) e quella fredda del Labrador (proveniente dal Canada) provoca la formazione di fitte nebbie: le stesse che impedirono l'avvistamento dell'iceberg responsabile di quel disastro. Anche oggi, nonostante le sofisticate strumentazioni di cui dispongono tutte le navi, gli iceberg continuano a costituire un rischio per la navigazione. Perché? Il pericolo deriva dal fatto che oltre l'80 per cento della loro massa ghiacciata si trova sotto la superficie dell'acqua e quindi non è visibile: per ottenere una stima delle dimensioni della parte sommersa bisogna moltiplicare per sette ciò che sta fuori dall'acqua. E anche dopo averla ottenuta è meglio tenersi a distanza, perché protuberanze e sporgenze irregolari potrebbero essere più vicine del previsto.La sproporzione fra la parte nascosta e quella visibile è notevole e ciò si deve soprattutto alla struttura interna dell'iceberg: mentre lo strato superficiale, di formazione più recente, è ancora relativamente soffice, il nucleo interno contiene ghiaccio che ha subito la forte compressione da parte degli strati superiori. Essendo più denso (0,9 grammi per centimetro cubo contro 0,8 circa del ghiaccio giovane) e quasi del tutto privo d'aria, questo ghiaccio è anche più pesante e trattiene sott'acqua la maggior parte della massa dell'iceberg. I blocchi tabulari, larghi e lunghi ma non tanto alti, sono i più giovani: vento e onde del mare non hanno avuto ancora il tempo di modificarne l'aspetto. Sui loro fianchi si vede il segno della stratificazione della neve originaria; a causa dell'ampia superficie che offrono al tepore del Sole, sono solcati da fessure e crepacci provocati dall'acqua che fonde, filtra all'interno e poi risolidifica, aumentando di volume e spaccandosi. Gli esemplari più vecchi sono i più bizzarri e i più belli, perché esibiscono grotte, punte, pinnacoli e incisioni laterali che spesso coincidono con le linee di galleggiamento dell'epoca giovanile. Un iceberg, dunque, invecchia: lo scorrere del tempo si deduce anche da una maggiore instabilità che causa il suo capovolgimento improvviso, facendo affiorare ghiaccio tutt'altro che bianco. Si tratta di fenomeni dovuti all'illuminazione, o di inclusioni vegetali e animali? Il ghiaccio blu, tipico degli iceberg del Nord, è dovuto sicuramente a un processo di cristallizzazione interno che, provocando l'espulsione dell'aria dalle porosità del ghiaccio, ne aumenta la densità con il passare degli anni. Le "zebrature" degli iceberg settentrionali sono causate dai detriti sassosi dei ghiacciai (morene) rimasti imprigionati sul fondo delle lingue di ghiaccio, che vengono trascinati verso il mare dal ghiaccio in movimento ed emergono dalla superficie inferiore quando gli iceberg, diventati vecchi, incominciano a capovolgersi, per effetto dell'erosione. Sulle origini del ghiaccio verde i ricercatori non hanno ancora trovato un accordo: "Gli iceberg verde-bottiglia avvistati occasionalmente nei mari dell'Antartide sono tipici di queste regioni", racconta Joseph Kipfstul, dell'Alfred Wegener Institut for Polar and Marine Research di Potsdam, in Germania. Inizialmente si pensava che contenessero elevate quantità di composti metallici, o addirittura che si trattasse di un'illusione ottica provocata dal particolare angolo di incidenza della luce solare. Invece, recenti studi sulle "carote" (i cilindri di ghiaccio ottenuti per trivellazione) provenienti dal mare di Weddell, a Nord-Ovest dell'Antartide, hanno rivelato che il ghiaccio verde è, in realtà, del tutto incolore. L'unica presenza all'interno di questi iceberg è rappresentata da materiale proveniente dal fondo del mare. Ma come è finito negli iceberg? Spiega Kipfstul: "Per effetto delle correnti marine, l'acqua più salata, che sta in basso, si sposta verso l'alto, portando con sé i sedimenti, vegetali e inorganici, presenti sul fondo del mare. Essi vengono inglobati nel ghiaccio in formazione sotto la banchisa, ossia lo strato da cui si staccheranno gli iceberg [si veda il disegno in basso a destra]. Questo strato in continua crescita (ghiaccio veloce) può misurare oltre due metri di spessore ed estendersi per più di 50 chilometri dalla costa, sempre attaccato alla terra. Quando la banchisa comincia a frammentarsi e gli iceberg "arricchiti" con i sedimenti galleggiano normalmente, non si nota nulla. Ma quando si capovolgeranno, affioreranno le sfumature verdi".
Viaggi ben programmati Con una temperatura interna costante di -15/-20 °C e scarsa superficie esposta, gli iceberg tengono testa alle tempeste dei mari polari: navigano contro vento, spinti dalle correnti marine che esercitano una pressione sull'enorme massa ghiacciata subacquea. La deriva dei ghiacci rappresenta perciò un ottimo evento per lo studio delle correnti marine intorno al continente antartico: "Dopo il distacco dalla terraferma, gli iceberg seguono un itinerario costante, risalendo prima verso Nord e muovendosi poi in direzione Est-Ovest con il flusso delle correnti costiere", spiega Giancarlo Spezie, coordinatore delle ricerche oceanografiche per conto del Piano nazionale di ricerche in Antartide e responsabile del progetto Clima, riguardante studi climatici a lungo termine al polo Sud. "Quando raggiungono la corrente circumpolare che isola il continente racchiudendolo in una vera e propria sacca", aggiunge Spezie, "la direzione di marcia degli iceberg a volte si inverte. Solitamente rimangono confinati a queste latitudini; se si verificano rallentamenti nella circolazione dei venti o modifiche nel sistema meteo-marino, possono uscire dal circuito, com'è accaduto al B-10, e avventurarsi verso latitudini più basse". Oltre che per lo studio delle correnti marine, gli iceberg vengono utilizzati come indicatori dei processi climatici che coinvolgono il nostro pianeta: il progressivo aumento di temperatura che si verifica da qualche anno sulla Terra è un fenomeno che allarma gli scienziati i quali, tuttavia, non hanno ancora trovato un accordo sulle possibili cause del processo. "Anche se in alcune regioni, come la penisola Antartica, il calving dei ghiacci (ossia il loro distacco) è indubbiamente aumentato", prosegue Spezie, "non possiamo attribuirne la causa esclusivamente al riscaldamento indotto dall'uomo. Bisogna considerare alcuni aspetti locali: la pressione del ghiaccio continentale sulle lingue esterne, l'intensità dei processi marini di erosione e la tensione interna al ghiaccio stesso. Esistono anomalie climatiche localizzate, ma nel suo complesso l'Antartide è una regione ancora abbastanza in equilibrio". Un occhio di riguardo Si staccherà o non si staccherà? Difficile prevederlo, osservando un ghiacciaio con i sistemi di telerilevamento che operano solo nelle bande di frequenza della luce visibile o nell'infrarosso. La presenza di gas e vapore acqueo nella troposfera (la parte inferiore dell'atmosfera), ma anche le nuvole o altri fattori di disturbo, possono rendere cieche le bande di frequenza su cui lavorano alcuni strumenti e impedire il monitoraggio continuo delle calotte polari. La quantificazione delle variazioni del livello marino causate dal calving o dallo scioglimento delle calotte di ghiaccio è molto importante: il 90 per cento dell'acqua dolce mondiale è concentrata ai poli e in Groenlandia e quindi ogni variazione nell'assetto di queste zone si ripercuote sul livello del mare. Determinare le dinamiche dei ghiacci e il bilancio di massa (la differenza fra l'accumulo e la fusione di un sistema glaciale) consente di effettuare proiezioni a lungo termine sugli sviluppi climatici della Terra.
"Le apparecchiature ideali per l'analisi delle dinamiche dei ghiacci sono i satelliti dotati dei cosidetti radar ad apertura sintetica o "Sar" (nei quali, cioè, l'antenna non ruota fisicamente come nei radar tradizionali, ma è fissa, e attiva progressivamente i diversi sensori di cui è composta)", spiega Franco Coren, dell'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste e responsabile italiano del progetto internazionale Vectra per lo studio e il monitoraggio delle aree glaciate della Terra. "L'onda elettromagnetica inviata dai satelliti che montano questo tipo di apparecchiature attraversa l'atmosfera in qualsiasi condizione meteorologica e anche di notte. Il segnale riflesso dall'oggetto torna al satellite, viene parzialmente elaborato e inviato a una stazione a terra, che inoltra i dati ai vari utilizzatori. Con i dati "Sar" possiamo ottenere non solo informazioni sulle dimensioni, la velocità e la direzione degli iceberg, ma anche prevederne il momento del distacco e la posizione della "grounding zone", cioè la zona limite fra il mare e il ghiaccio. Inoltre si possono ricavare dati fondamentali per il controllo delle aree polari. Teoricamente, non sarebbe più necessario recarsi in Antartide per studiare questi eventi da vicino, anche se le misure a terra sono comunque necessarie". Vandali in azione Immaginate quali effetti produrrebbe un palazzo di 15 piani che scivolasse sopra un prato. Moltiplicate questo effetto per dieci e avrete un'idea del potere distruttivo degli iceberg sugli ecosistemi marini con cui vengono in contatto. Gli iceberg arano i fondali, strappando alle loro nicchie larve, molluschi e spugne che vengono trasportati a chilometri di distanza e riducendo drasticamente la fauna locale. "Più del 99 per cento degli animali più grandi (come i molluschi) e oltre il 90 per cento di quelli di dimensioni più piccole, come piccoli vermi e crostacei, vengono rimossi per azione del ghiaccio e la ricostruzione di queste colonie di animali richiede talvolta anni interi", afferma Simon Brockington, biologo marino del programma inglese di ricerche in Antartide. Questo perché le larve e gli animali più giovani sono sensibili alle basse temperature e al fatto che i soli sei mesi di luce che ci sono annualmente ai poli, comportando una minore energia solare, offrono risorse nutritive scarse, che causano l'arresto della loro crescita. Tuttavia, un effetto positivo c'è: grazie ai flussi indotti dai ghiacci, le regioni circumpolari sono fra le più ricche di specie animali: alcune larve possono viaggiare per 5000 chilometri e colonizzare nuovi ambienti. Si tratta però di vite estremamente fragili. Bisogna allora ricordare che, senza le complesse catene ecologiche di cui spesso dimentichiamo l'esistenza, non potremmo ammirare questi giganti solitari dal cuore freddo. |